Alluvioni. Europa e Italia in un’analisi del CESI

Alluvioni. Europa e Italia in un’analisi del CESI

Nel 2014 l’Europa è stata soggetta a una quantità insolita di piogge torrenziali, tempeste e inondazioni. Rientrata l’emergenza per Francia, Spagna, Italia, Germania, Austria, Romania, Ungheria, Serbia, Croazia, Repubblica Ceca e molte altre, è venuto il momento della conta dei danni che ammonta a milioni di euro e numerose vite umane.

Perché, questi fenomeni si verificano? Possono essere interpretati come episodi isolati e straordinari? Esiste una correlazione tra simili manifestazioni climatiche violente e l’attività umana degli ultimi secoli?

Le risposte ad alcune di queste domande possono essere trovate nel recente studio sui cambiamenti climatici “Increasing stress on disaster-risk finance due to large floods” coordinato dai ricercatori dell’Institute for Environmental Studies di Amsterdam. La ricerca è la prima ad analizzare in modo completo il tasso di rischio del verificarsi di fenomeni torrenziali in Europa, con previsioni oltre il 2050.

E dimostra come fenomeni atmosferici così violenti siano strettamente legati agli effetti dell’attività umana sul territorio e quindi sul clima. Gli interventi dell’uomo, infatti, hanno in molti casi modificato sensibilmente l’originaria morfologia di intere aree geografiche.

A preoccupare è l’incidenza di questi fenomeni: se oggi la frequenza di inondazioni è una volta ogni 16 anni, nel 2050 questa potrebbe facilmente scendere a una volta ogni 10, interessando simultaneamente più di una nazione alla volta. Le ripercussioni si vedrebbero anche sulle casse dei Paesi colpiti: nel 2013 tra le aree più interessate dalle piogge torrenziali e dalle conseguenti inondazioni vi sono state quelle dell’Europa centrale e dell’Inghilterra, con danni per oltre 12 miliardi di euro.

L’unica soluzione possibile per gestire la situazione, considerando anche la profonda interconnessione delle reti fluviali, sembra essere la prevenzione a livello europeo e la condivisione di direttive per la gestione delle emergenze, calibrate sull’orografia e sulla morfologia di ciascun Paese. Accorgimenti simili non eviterebbero in futuro il verificarsi di calamità, ma se non altro aiuterebbero a contenere i costi derivati dai danni.

In questo quadro l’Italia è un caso particolarmente significativo di instabilità sia per la sua conformazione geomorfologica sia per le conseguenze dell’urbanizzazione. La combinazione di questi due elementi, unita alla mancata osservanza delle azioni minime preventive – utilizzo di costruzioni che attenuino l’effetto delle intemperie, manutenzione del territorio e del fiumi navigabili o delocalizzazione delle attività a rischio potenziale – ha presto generato uno stato di emergenza.

Per prevenire la gestione della crisi è necessario che gli otto distretti idrografici in cui è diviso il territorio italiano si coordino tra loro, coinvolgendo gli enti pubblici regionali. Considerando che il 70% delle frane hanno luogo in Italia, si sente l’urgenza di sottoporre lo stato del territorio e dei fiumi italiani ad esame attento in modo da poter stabilire una lista di priorità d’intervento e agire di conseguenza. Solo così sarà possibile individuare le tecnologie più adatte per ogni area e non resterà che trovare il modo di applicarle, passaggio quest’ultimo in cui il nostro Paese si arena.

Cambiare approccio spesso è, dunque, la migliore soluzione. Le soluzioni possibili in una situazione come quella italiana, possono essere ricondotti a tre macro tipologie:

  • interventi che mitigano il rischio di alluvioni
  • interventi che riducono il rischio di frane
  • interventi che interessano le aree urbane agendo sulla rete delle acque di scarico oppure sulla pulizia dei fiumi e dei laghi.

Spesso però, per garantire la buona riuscita delle operazioni sarà necessario adottarne più d’una, se non tutte le tipologie sopra menzionate.

Prima di agire sarà necessario, come in ogni progetto, stabilire criteri d’azione chiari e altrettanto chiari obiettivi, senza dimenticare che queste azioni avranno conseguenze tangibili sulla situazione politica, sociale e amministrativa locali.

Un caso concreto: il fiume Tagliamento

Passando dalla teoria alla pratica, si può guardare al caso del fiume Tagliamento, che insieme al Piave, al Livenza e al Brenta-Bacchiglione, è uno dei corsi più problematici del nord-est italiano. Negli ultimi anni le esondazioni del Tagliamento, sebbene non abbiano avuto conseguenze paragonabili alla drammaticità dell’alluvione che colpì Firenze nel 1966, hanno causato danni ingenti.

Per questa ragione, a partire dal 2000, il distretto idrografico competente per il Tagliamento ha pensato a delle misure di contenimento del fiume nei tratti più a rischio (quelli medio-bassi).  All’altezza della stretta di Pinzano è stato progettato un bacino che, in caso di esondazione, è in grado di contenere 10milioni di metri cubi d’acqua, riducendo così il picco del fiume a 4mila metri cubi al secondo. Benchè ci fossero sufficienti fondi per intraprendere la costruzione dei questo primo di tre bacini, l’opposizione di alcuni proprietari terrieri ha impedito che si procedesse con i lavori. Negli anni successivi sono stati messi in atto progetti e operazioni di manutenzione, per tenere sotto controllo il fiume, sebbene queste azioni no siano state specificatamente pensate per il cado del Tagliamento.

Attualmente il distretto idrografico a cui fa capo il fiume, sta lavorando per presentare, entro il 2015, nuove soluzioni per la prevenzione e la gestione delle alluvioni. Il progetto, se presentato entro i tempi stabiliti dall’Unione Europea, entrerà a far parte del Piano per il “Flood Risk Management”.

Nel caso del fiume Tagliamento, la metodologia di analisi di alternative progettuali che CESI ha sviluppato potrebbe efficacemente sostenere decisori e soggetti interessati nel riposizionamento delle priorità di intervento sulla base di un urgente bisogno di stabilire soluzioni efficaci e condivise per i rischi di alluvione che minacciano il territorio. Un approccio inclusivo e una costruzione condivisa di un quadro di valutazione (di lavoro insieme per definire gli obiettivi, i criteri e l’importanza relativa) consentirebbero di superare i tipi di impasse creati in passato per la presenza di diversi e spesso contrastanti interessi in gioco all’interno del bacino del fiume.

Il presente articolo è la traduzione e rielaborazione dell’approfondimento “Flooding Europe” di Giuseppe Paolo Stigliano, Head of Structural & Civil Engineering Engineering & Environment, ISMES Division, CESI

 

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